Vincenzo Crolla racconta Massimo
Il mio amico Vincenzo Crolla mi scrive per chiedermi se mi piace questa storia per l’Edizione 2015 de La Notte del Lavoro Narrato.
Per tutta risposta gli ho proposto di pubblicarla qua la sua storia, e lo stesso invito faccio anche a voi che ci leggete, che sarebbe bello accompagnare questi giorni che ci separano dal 30 Aprile 2015 con tante storie, canti, video, disegni, ecc. di lavoro.
Grazie Vincenzo. Grazie tante.
vm
Massimo è uno dei tanti, poco più che quarantenni, che abbiamo visto nascere, crescere e diventare disoccupati in questa sorta di famiglia allargata che sono “Le Palazzine”. Il rione di case popolari posto su in collina nel 1959, quando andare lassù era un po’ come andare ad abitare sul Monte Amiata per gente che arrivava dai luoghi più disparati della città: dai tanti bassi dei quartieri popolari pulitissimi e umidissimi insieme; sorte di “antri della Sibilla” dove, spesso in 30 mq, vivevano, l’uno sull’altro, otto, dieci, a volte dodici persone. Famiglie numerose, cresciute in un epoca dove la sera, non sapendo cos’altro fare, si mettevano a cuocere figli che sarebbero stati pronti nove mesi dopo.
La zona era amena, non c’è che dire: asciutta, piacevolmente ventilata e panoramica pure.
Almeno fino a quando, i vari Sagliocchi, Orofini, Merolli & Paderni, non decisero con le loro bruttissime case – vero trionfo della velocità della linea retta partorita dal tecnigrafo del geometra – di accorciare la vista di quella gente e di precludere loro lo sguardo lungo verso il mare: Bagnoli e il Virgiliano a Ovest, il Vesuvio e la costiera sorrentina dal lato opposto.
La zona era bella, l’aria e l’acqua erano eccellenti e perciò, quelle case – belle anche loro – finirono con l’essere abitate non solo da sottoproletari con famiglie numerose ma anche da un ceppo consistente di classe operaia e da un nucleo, più appartato, di ceto medio professionale: impiegati, insegnanti, bancari, un paio di medici.
Non tutti certamente con le “carte” perfettamente in regola per ottenere una casa del Comune; ché forse alcuni la casa potevano anche fittarla da un privato o comprarla addirittura.
Sia come sia, nelle Palazzine, finirono col convivere uomini, culture, idee, visioni del mondo e concrete condizioni di vita di estrazioni e radicamenti lontanissimi tra loro. Gli improvvisati campetti di calcio, tirati su dalle terre che cominciavano a liberarsi di peschi e susini, furono teatro di memorabili partite di pallone dove a fronteggiarsi erano squadre improvvisate e promiscue, che al loro interno contenevano senza problemi il liceale classico, il garzone di bottega e l’apprendista muratore.
Ci sono i figli di terza generazione adesso alle Palazzine, Massimo è uno di questi.
L’esperimento sociale, forse casuale forse no, che mischiò ceti e persone diverse ha, grosso modo, funzionato, attivando, almeno sul piano dell’educazione civica, uno spirito di emulazione fatto di orgoglio e dignità; dove i figli dei meno abbienti hanno appreso, da chi già sapeva farlo, come e in che modo, si dispongono a tavola coltelli, cucchiai e forchette secondo i dettami di Monsignor Della Casa.
A funzionare meno, e a incepparsi più spesso che a volte, è stato l’ascensore sociale. E perciò Massimo, che nel frattempo ha trovato una compagna, un figlio e un cane, non ha mai trovato un lavoro vero pur sapendo fare mille cose.
E così se lo è costruito da solo un lavoro, contando sulla solidarietà e sull’affetto di chi lo ha visto crescere, ma, ancor più, sull’assenza del Comune che, pur riscuotendo stabilmente le imposte, non ha nessuna cura del verde né della pulizia delle strade.
E così oggi, Massimo, è il netturbino-giardiniere delle Palazzine, contando sui cinque euro al mese che ogni singola famiglia gli offre.
Buona Notte del Lavoro Narrato a tutte/i voi.
Vincenzo Crolla