Cip c’è
di Benedetta Giudice
Caselle in Pittari, terra di emigranti, terra da cui troppo spesso si è partiti per rincorrerlo il lavoro, stasera sarà invece il luogo verso cui il lavoro convergerà, il punto di congiunzione e di incontro delle esperienze di voi che parteciperete alla Notte del Lavoro Narrato. Il quartier generale è InOutLabCoworking: saremo il centro di smistamento, l’help desk umano.
Noi saremo lì fisicamente, voi ci sarete telematicamente, ma nella sostanza, tutti insieme a condividere questa straordinaria esperienza.
Ma c’è dell’altro qui a Caselle! La nostra antropologa Giulia Ubaldi -ormai una casellese d’adozione- ha allestito un’esposizione fotografica dal titolo “L’Ape Operaia”: gli scatti sono dei ritratti di lavoro che ha catturato a Caselle durante questo scorso anno. La mostra è allestita presso l’Osteria Tancredi, nel paese vecchio. Potete perdervela? La risposta è no.
E a proposito di Caselle, di emigranti e di lavoro mi sono ricordata del nonno, e di quando volevo sapere che mestiere aveva fatto nella vita:
<<Ma il nonno, che lavoro faceva?>>
<<Ma quando?>>
<<Che ne so, quando era giovane…quando poi è andato in Argentina…>>
<<Eh appunto…quando? Appena arrivato? Prima di tornarsene? Ha fatto tanti lavori il nonno quando era in Argentina>>
<<E racconta, ià…>>
Ero ancora piccola quando feci quella domanda, per me fino ad allora il nonno di mestiere aveva fatto sempre soltanto il nonno. Ed era stato un emigrante, questo sì lo sapevo: se ne era andato in Argentina, prima di sposarsi.
Qua a Caselle la parola “emigrante” è cosa di tutti i giorni, te la senti nel destino, quasi te lo aspetti che un giorno dovrai emigrare pure tu. Prima, all’epoca del nonno, tanti oltrepassavano l’oceano, andavano verso l’America, il Brasile, l’Argentina, poi dopo è stato il tempo della Germania, della Toscana, del Nord Italia. Il commento invece quasi sempre lo stesso: ”eh…perché qua non c’era lavoro, come dovevamo fare? Là, qualsiasi lavoro, ma almeno lavoravi!”.
E insomma, anche il nonno era partito, da Genova -con la nave- per l’Argentina. Qua a Caselle il nonno lavorava la terra, insieme a tutta la famiglia, faceva il contadino, aveva imparato a fare quello. Quando è andato via ha cominciato dalla terra, dal mestiere che conosceva, ma poi si è messo a fare altro, e ha cambiato tanti lavori, vuoi perché non fruttavano tanto, vuoi perché voleva un’occupazione diversa. All’inizio si era procurato un carretto trainato da un cavallo e andava per le campagne a vendere prodotti che altrimenti si trovavano solo nei negozi in paese. Un periodo si era messo a fabbricare scope, quelle di saggina, cucite a mano e per risparmiare sui manici andava per le case a comprare quelli usati e li rimetteva in sesto. Poi aveva anche aperto una specie di polleria, comprava i polli nelle fattorie vicine, li spennava, li preparava e li spediva in treno a Buenos Aires; là però il commercio diventò rischioso con l’inizio del periodo degli scioperi e delle proteste: quando bloccavano i binari e il treno ci metteva più del dovuto la carne arrivava avariata e non gliela pagavano più. Dopo i polli, c’è stato il negozio: un piccolo spaccio che vendeva tessuti, vestiti, intimo, scarpe, abbigliamento da lavoro, bottoni…un po’ di tutto insomma. Era letteralmente “casa e bottega” perché in realtà il negozio era una stanza della casa, una delle più grandi che dava sulla strada principale. La merce bisognava andare a comprarla dai grossisti della capitale che poi gliela la spedivano con il treno e poi da lì con la carriola fino a casa!
<<Ah e prima ancora, aveva fatto anche il contabile, il nonno>>
<<Quando?>>
<<Durante gli anni della guerra, quando era in Africa. Faceva il contabile per gli ospedali della Croce Rossa. È stato sempre molto bravo in matematica>>
Con tutti questi mestieri, mi veniva difficile definire il nonno: cosa era stato nella sua vita? Un contadino? Un commerciante? Un fabbricante di scope? Un contabile? Avevo sempre pensato che il lavoro, la professione fossero determinanti per definire una persona. E invece no, alla fine, con il tempo, l’ho capito: il nonno era stato un lavoratore. Punto. E se ho imparato qualcosa dal suo esempio è che quello che ti definisce non è il mestiere in sé, ma l’impegno e il sudore della fronte, la dedizione, qualsiasi sia il lavoro che fai. Perché ogni lavoro è lavoro, e ogni lavoro è degno.