Apriamo le nostre case al #lavoronarrato (meno cinque)
Mammà, comm’era bello.
La cena era una festa, non per quello che mangiavamo, che da quel punto di vista c’era assai poco da festeggiare, ma per la porta aperta. Per papà che ad ogni passaggio di un vicino, la nostra era la prima casa sul ballatoio e in quegli anni dal lavoro si tornava più o meno tutti alla stessa ora, gridava “don Gennà, don Antò, don Salvatò” e così via discorrendo, “entrate, favorite“, ricevendo in cambio l’immancabile “buon appettito a voi e a tutta la famiglia, don Pascà”. E anche, perché no, per mamma, la saggia adorabile contadina nostra, che gli ripeteva una volta si e un’altra pure “zitto Pascà, cà si chille veneno overamente, nun tenimmo niente“.
Eh sì, funzionava proprio così, porte aperte a Secondigliano. E’ vero, erano altri tempi, ma la volete sapere una cosa?, questa storia degli “altri tempi” più vado avanti con gli anni e più mi sembra una scusa. Perché sì, non so quante volte l’ho scritto, alla fine funziona come dice Morpheus a Niobe nel secondo episodio di Matrix, “ci sono cose che cambiano e cose che invece no”.
Volete un esempio? E io ve lo faccio.
Ma chi lo dice che ce ne dobbiamo stare chiusi nella case quando viene la sera? Magari a vedere qualche pessima trasmissione televisiva con qualche pessimo conduttore e pessimi ospiti che fanno pessimi dibattiti? Dice “tu la fai facile, con quello che guadagniamo, e quello che costa, puoi uscire una sera, puoi uscire due, ma mica puoi uscire tutte le sere”. E chi l’ha detto che bisogna per forza uscire? Ogni tanto facciamocelo venire un attacco di pazzaria, bussiamo al vicino o alla vicina di casa, diciamogli “signo’ che state preparando da mangiare, volete venire da me, voi ci mettete il primo noi il secondo e mangiamo tutti assieme, facciamo due chiacchiere, ci facciamo due risate e poi magari un’altra volta veniamo noi da voi, che dite?”.
‘O saccio, vi sembra impossibile, ma da una parte che non mi ricordo ho letto che “chi dice che una cosa è impossibile, non dovrebbe disturbare chi la sta facendo”.
Ecco, prendiamo la nostra Notte del Lavoro Narrato, sembrava impossibile, e invece è una splendida realtà. Ecco, se adesso io scrivo che ci sono una decina di case che finora partecipano alla nostra iniziativa e io vorrei che diventassero mille in tante/i penserete “mancano cinque giorni, è impossibile”. E invece no. Si deve accendere la lampadina. Deve diventare, come si dice adesso, virale. Soprattutto ci dobbiamo far venire un attacco di pazzaria e dobbiamo invitare amiche e amici, ognuno porta una cosa da mangiare, un libro, una storia da raccontare, una chitarra da strimpellare. E poi un telefonino per fare qualche foto da condividere sui social network con l’hashtag #lavoronarrato. Forza, e che ce vò. Pigliamola “di faccia” che ce la facciamo ancora.
Una risposta
[…] je so’ pazzo overamente, nel senso che non mi rassegno al fatto che abbiamo solo 10 case e cerco pazze/i che vogliono aiutarmi a farle diventare mille da qui a mercoledì. La terza è che c’è della lucidità persino […]