Noi siamo il nostro lavoro
di Francesco Escalona
Vincenzo Moretti continua il suo splendido lavoro di diffusione di storie di Amore per il proprio Lavoro, fatto con cura, dopo la indimenticabile “notte del lavoro narrato”. Questa storia di Ela Siromascenko, che ci propone stamattina, è bellissima e mi ha insegnato molte cose.
Siamo in un’epoca terribile e fantastica in cui Vita e Lavoro si sovrappongono. Nel bene e nel male tendono ad essere la stessa cosa. Noi “siamo” il nostro Lavoro. Quello che facciamo, siamo noi stessi. Io non so più, quando lavoro e quando mi svago. Mentre leggo, lavoro. Mi formo. Mentre viaggio, penso, ideo, scrivo, scambio idee che saranno utili nel mio lavoro. Conosco gente. Mentre navigo, imparo… e poi trasferisco tutto in quello che faccio … per lavoro. Non c’è più confine. Quindi la perdita del lavoro, il licenziamento, ma anche lo svuotamento del contenuto del proprio lavoro, lo svilimento, l’espropriazione di contenuti propri, sono diventate questioni non solo drammatiche dal punto di vista economico ma anche, e in alcuni casi, soprattutto, in chiave “esistenziale”. Nel senso che coinvolgono proprio il “senso” stesso della nostra esistenza. Il senso di esistere … Da qui, anche, forse, l’aumento dei suicidi, come estrema sconfitta, determinata dallo svuotamento del proprio essere. Di contro, invece, c’è il fatto notevole, la novità esaltante, di condurre delle vite sempre più “piene”. Cariche di senso. Mai ripetitive. Dense. Creative. In cui la creatività si esalta alla ennesima potenza.
Nel caso di Ela Siromascenco, ad esempio, lavoro e vita si sovrappongono e la sua scommessa esistenziale sarà quella di realizzare capi di abbigliamento sempre più belli e perfetti. Immersa nella Bellezza della nostra Italia. Perciò coglie qualcosa che noi stessi non cogliamo più: il Senso primario del vivere in Italia. Fino a non sentire il peso dei nostri problemi. Li considera testualmente “il prezzo da pagare” per la Bellezza che le serve, per la sua felicità. Considera, quei problemi, l’altra faccia della medaglia. I tempi sono cambiati: non c’è più la catena di montaggio, la firrma del cartellino è una pazzia di archeoburocrazia. Saranno la creatività, la fantasia e l’attaccamento amorevole al proprio lavoro, le ancore di salvezza.
Noi “siamo il nostro Lavoro”. Ovvero, il lavoro che riteniamo primario. Non sempre quello che ci dà da mangiare… Siamo come gli uomini del medioevo che avevano nello stesso posto la casa e la bottega. Che non erano più i servi della gleba se diventavano i migliori fabbri o i più bravi maniscalchi… Siamo sempre più come i cavalieri medioevali: veri e propri eserciti compatti. Autosufficienti. Forti della propria “moderna” attrezzatura e del proprio coraggio, ognuno di loro valeva almeno 10 soldati a piedi. Il cavallo, la spada, l’armatura, la lancia e … le staffe, erano l’attrezzatura tecnologica che li rese autonomi e capaci, in solitaria, di sfidare il mondo. Ognuno di noi, oggi, col suo pc, col suo tablet, con il suo bagaglio di creatività, la sua storia, la sua passione, collegato alla Rete, può essere artefice del proprio futuro, viaggiando per il mondo in un batter d’occhio, scoprendo universi paralleli, alleandosi a “cavalieri” lontani anche mille miglia. Conoscendo e frequentando persone ed esperienze, vite analoghe, complementare, di cui non avrebbe mai potuto neanche sospettare l’esistenza.
Un mondo fantastico, il nostro, se manterremo ‘amore’ per il nostro lavoro, la curiosità, la testa tra le nuvole e la banda larga ben stretta … e i piedi per terra, per non scambiare i mulini che fanno ruotare innocui le loro pale nel vento, per mostri orribili, inenarrabili, inafferrabile e, soprattutto, invincibili.
Bellissimo, grazie!